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Don Giacomo Panizza, il prete anti ndrangheta, torna ad Amantea

15 giugno 2011

Don Giacomo Panizza torna ad Amantea.

“Contro le mafie non servono eroi. Bisogna che tanti facciano poco e non che pochi facciano molto. Serve che tutti ci impegniamo per la libertà di tutti, e la legalità è cosa nostra, un tassello di questo impegno”

Volontari del "De Grazia" con Panizza

Amantea, 14 giu. 2011 – C’era stato l’ultima volta il 24 ottobre 2009 rispondendo Sì all’appello del comitato De Grazia in occasione della grande manifestazione contro i veleni. Da qual momento è nata una collaborazione che ha portato i volontari del De Grazia ad essere ospiti della comunità Progetto Sud a raccontare la loro esperienza. Ora, Don Giacomo Panizza, torna nella cittadina tirrenica per raccontarci la sua storia grazie all’impegno dell’Auser di Amantea, un’altra importante realtà cittadina.

Giovedì 16 giugno nella piazza Calavecchia, Don Giacomo ci racconterà della sua esperienza in Calabria dove dice di aver trovato Purgatorio Inferno e Paradiso. Bresciano di origine, dal 2002 Don Giacomo Panizza è nel mirino di una delle più sanguinarie famiglie ‘ndranghetiste calabresi. Prima che intervenisse qualche mese fa al programma-evento di Rai 3 “Vieni via con me” come ospite di Roberto Saviano, pochi conoscevano il coraggio e l’impegno di don Giacomo Panizza, prete anti-’ndrangheta la cui storia è stata raccontata davanti a milioni di italiani. Adesso la sua esperienza può esser conosciuta da più gente grazie al volume “Qui ho conosciuto Purgatorio Inferno e Paradiso” (Feltrinelli – Serie Bianca, 256 pagine, prezzo di copertina 15 €).

Il libro nasce da una lunga ed appassionante conversazione con Goffredo Fofi, suo amico di vecchia data e compagno in molte battaglie sociali che lo hanno visto protagonista negli ultimi trent’anni. Nato da una famiglia di operai, nel 1964 Giacomo ha cominciato a lavorare in fabbrica dopo aver terminato la scuola elementare: lì è entrato in contatto con gli ambienti politici della sinistra militante, ed anni dopo, quando esplose una bomba a piazza della Loggia a Brescia, lui era con gli altri a manifestare, ed era lì anche qualche giorno dopo, quando la polizia arrestò i neri neofascisti e gli anarchici.

Dal suo quartier generale, il bar “Ai Miracoli”, Don Giacomo vedeva transitare studenti e barboni, giovani e prostitute, partecipando anche a convegni ed incontri che puntavano a trovare un sentiero percorribile di progresso e di giustizia per tutti. La vocazione lo ha colto da adulto e fidanzato, parecchio a digiuno di cristianesimo: dopo il seminario, il suo vescovo con molte titubanze lo ha ordinato sacerdote, obbligandolo a lasciare il quartiere delle prostitute per lavorare tra i disabili.

Don Giacomo ha così conosciuto la Comunità di Capodarco nelle Marche, un istituto che offriva agli handicappati amore e rispetto, coinvolgendoli nelle decisioni e richiedendo da parte loro responsabilità. Un bel giorno giunse a Fermo un gruppo di scout di Catanzaro che chieserio a Giacomo di ospitare anche qualche disabile calabrese, e venne deciso che a spostarsi fosse la comunità, spingendo alla nascita a Lamezia Terme (in provincia di Catanzaro) della Comunità Progetto Sud, che come dice Fofi è una “esperienza minoritaria che si radica e si concretizza nel mondo reale”.

Giacomo accetta di utilizzare a scopi sociali un palazzo requisito ai Torcasio, la famiglia malavitosa più temuta della zona: lo stabile che gli è stato assegnato dista pochi metri dalle abitazioni dei mafiosi a cui è stato sequestrato, ma ogni volta che deve accedere alla struttura deve bussare proprio a loro. Don Giacomo Panizza ha ricevuto molte minacce, la sede è stata più volte danneggiata, e qualcuno è arrivato a sabotare i freni dell’auto di un disabile, ma Don Giacomo non ha mai smesso di lottare.

Un libro appassionante come un romanzo, un dialogo serrato che ricostruisce la battaglia quotidiana di Don Giacomo Panizza contro la cosca dei Torcasio, ma anche il suo enorme amore per la terra calabrese, un progetto visionario e così grande da annullare la criminalità e gli altri ostacoli che si sono frapposti alla sua realizzazione. Perché “bisogna che tanti facciano poco, più che pochi facciano molto. Contro le mafie non serve Rambo. Serve che tutti ci impegniamo per la libertà di tutti, e la legalità è cosa nostra, un tassello di questo impegno”: soltanto in questo modo il Sud potrà superare i suoi limiti ed utilizzare pienamente le sue risorse ed il proprio tessuto sociale.

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