Mille omissioni per un omicidio

Mille omissioni per un omicidio

Piste trascurate. Testimoni ignorati. Investigatori trasferiti. I genitori di Ilaria Alpi chiedono nuove indagini. A partire dal traffico di rifiuti tossici con la Somalia CAlpi

di Riccardo Bocca

Luciana e Giorgio Alpi sono allibiti. Hanno letto l’articolo pubblicato la scorsa settimana da “L’espresso” sull’omicidio della loro figlia Ilaria e commentano: “Scopriamo con incredibile ritardo gli importanti elementi raccolti dalla Procura di Reggio Calabria. Tutto conferma quello che noi sosteniamo da sempre: Ilaria è stata uccisa il 20 marzo 1994 con l’operatore Miran Hrovatin perché indagava sugli enormi traffici di armi e rifiuti tossici tra l’Europa e la Somalia. Una realtà che nessuno è interessato a svelare e che può aver giustificato anche l’eliminazione di due persone”. Per questo, dicono i coniugi Alpi, hanno preso con l’avvocato Domenico d’Amati una decisione immediata: “Chiediamo ufficialmente di acquisire gli atti dell’inchiesta calabrese”, annunciano: “Così forse si potranno colmare i troppi vuoti lasciati dalle indagini della Procura di Roma”. Certo non li ha convinti la condanna a 26 anni del somalo Ashi Omar Hassan, accusato di aver preso parte senza sparare al commando assassino. Gli Alpi lo definiscono un capro espiatorio: “Basti dire che fu arrestato mentre era in Italia per testimoniare sulle violenze subite dai militari italiani. E che dopo essere stato assolto in primo grado, è docilmente tornato dall’estero, malgrado il rischio dell’ergastolo. Una storia che non sta in piedi…”. Perché allora la Procura di Roma ci ha creduto? “Non sta a noi dirlo. Certo in questi anni quella Procura ha perso del gran tempo. Molti spunti importanti sono stati lasciati cadere”. Per esempio? “Saltò fuori l’intercettazione di un certo Yusuf che collegava esplicitamente la morte di Ilaria al traffico dei rifiuti tossici. Era una traccia importante, eppure nessuno ha mai cercato di scoprire chi fosse questo signor Yusuf”. Secondo voi perché? “Saperlo. È successo di tutto, in questi anni. Anche le Procure di Asti e Torre Annunziata hanno trovato indizi che collegavano armi e rifiuti alla morte di Ilaria. Ma il capo della Digos di Roma, Lamberto Giannini, ha dichiarato di non averle lette perché troppo voluminose”. Subito dopo l’omicidio di vostra figlia indagò la Digos di Udine. Ne uscì qualcosa di utile? “Molto utile. Gli investigatori indicarono che uno stretto collaboratore del presidente somalo Ali Mahdi, tale Ahmed Gilao, avrebbe partecipato alla riunione per decidere l’omicidio di Ilaria. Sa che cosa ha fatto la Digos di Roma per chiarire la questione? Si è limitata a chiedergli se davvero fosse coinvolto, e lui ovviamente ha risposto di no. Ma c’è di più…”. Cioè? “Quando l’indagine è passata a Roma, gli investigatori di Udine sono stati spostati in altri uffici”. Nel frattempo, dopo l’uccisione di vostra figlia si sono accumulate le stranezze. Tipo la scelta di non fare l’autopsia… “Dissero che non c’era il tempo perché si dovevano svolgere i funerali di Stato. Una bugia: quando sono morti i nostri militari a Nassiriya, prima hanno fatto i funerali di Stato e poi l’autopsia”. Altra stranezza. Carmine Fiore, comandante del contingente italiano in Somalia, ha dichiarato che i carabinieri recuperarono i corpi di Ilaria e dell’operatore Miran Hrovatin e li portarono sulla nave Garibaldi. Lei, Luciana Alpi, lo ha definito in tv bugiardo ed è stata querelata. Com’è finita? “Con un’assoluzione piena. Immagini e testimoni hanno dimostrato che mentiva. E pensare che Fiore ha insistito tanto con la sua versione. È venuto persino a casa nostra per convincerci…”. Torniamo alla Procura di Roma. Nel 1996 viene affiancato al magistrato Andrea De Gasperis il collega Giuseppe Pititto, il quale finalmente dispone l’autopsia e nomina consulenti medici e balistici. Ma nel 1997 il procuratore capo Salvatore Vecchione gli revoca la delega dell’indagine. Perché? “Può succedere che un procuratore capo sposti un’indagine, non è questo il punto. Pititto però è stato accusato di avere avuto contrasti con De Gasperis, il che è risultato falso”. In che senso? “De Gasperis non si occupava più del caso, lo ha confermato lui stesso. Non per niente Pititto ha detto alla Commissione sul ciclo dei rifiuti queste parole gravissime: “Se si vuole accertare la causa di questi omicidi al fine di trovare i responsabili, un passaggio necessario ed ineludibile è accertare perché l’inchiesta mi sia stata tolta”". Che tipo di conseguenze ha avuto l’esclusione di Pititto? “Immediate. Gli hanno levato l’indagine alla vigilia dell’arrivo in Italia di due importanti testimoni somali. Va da sé che non ha potuto interrogarli”. Si è poi creato un buon rapporto con il procuratore capo Vecchione? “Quando ci siamo conosciuti ha detto: “Telefonatemi pure, ma senza abusare”". Vecchione ha affidato le indagini al sostituto procuratore Franco Ionta. Lo stesso magistrato, parlando del caso Alpi all’omonima Commissione parlamentare, ha detto: “Non tutti gli omicidi hanno necessariamente mandanti”. Come commentate? “No comment”. Ionta ha anche detto che dalle indagini non emerge la premeditazione. “Un commando di sette persone ha aspettato due ore Ilaria per ucciderla. Cos’altro va dimostrato?”. Sempre davanti alla Commissione parlamentare, Ionta ha negato qualunque responsabilità nel caso Alpi di Giancarlo Marocchino, l’italiano giunto per primo sul luogo dell’agguato e citato nell’inchiesta riguardo a ipotetici traffici di rifiuti nocivi. Che indagini sono state fatte su di lui? “A noi risulta che la Digos lo abbia contattato telefonicamente per domandargli se fosse coinvolto nella morte di Ilaria. Ricevuta risposta negativa, non è andata oltre. E non c’è da stupirsi…”. Perché? “Marocchino non è stato nemmeno convocato dai magistrati per testimoniare al processo. Lo abbiamo dovuto chiamare noi come parte civile. Credevamo valesse la pena di ascoltarlo, anche per i suoi stretti legami con chi comandava in Somalia”. Vi riferite al presidente ad interim Ali Mahdi? “Sì. Marocchino ha sposato una signora somala che è imparentata con lui. D’altro canto ha sempre detto di essere in buoni rapporti con Ali Mahdi…”. Nelle indagini c’è anche il nome del generale Luca Rajola Pescarini, allora responsabile del Sismi in Somalia. Ionta ha detto alla Commissione: “Dai piani di volo dell’aereo e da tutti i documenti che acquisimmo emerse chiaramente che il giorno dell’omicidio non era presente a Mogadiscio”. Vi basta? “Se le verifiche si sono limitate alla sua presenza a Mogadiscio, no. E comunque no, non ci basta, perché nel corso delle sue verifiche la Procura di Asti ha trovato elementi che indicherebbero rapporti tra Marocchino e Rajola. Rapporti, sia chiaro, che loro hanno sempre negato. Perché gli investigatori non hanno lavorato in questa direzione?”. Comunque sia, tutte le persone citate nelle indagini abitavano in Somalia. Si è mai puntato al livello superiore, quello dei possibili mandanti fuori dall’Africa? “No. Nessuna pista è stata seguita fino in fondo. Non a caso è finito in carcere solo Ashi Omar Hassan”. A proposito del processo. Alla fine del primo grado (finito con l’assoluzione di Hassan) il vostro avvocato di allora, l’attuale senatore diessino Guido Calvi, rinunciò a leggere in aula le conclusioni. Così facendo vi ha precluso la possibilità di costituirvi parte civile nei successivi gradi di giudizio. Ne eravate consapevoli? “Calvi non ci ha detto niente. Tantomeno potevamo immaginare le conseguenze. Il suo è stato un gesto di protesta; voleva criticare l’individuazione di Hassan come unico colpevole. Ciò non toglie che avrebbe dovuto avvertirci”. Lo studio Coppi, che rappresentava la Rai, è rimasto nel processo… “Lasciamo stare la Rai. In questa storia si è comportata in modo sciatto, per non dire di peggio. Si è costituita parte offesa due anni e mezzo dopo la morte di Ilaria e solo dopo le nostre insistenze”. Quanto alla Commissione parlamentare di Carlo Taormina, come sta lavorando? “La notizia è che qualcuno sta lavorando, finalmente, e che Taormina con noi è stato finora corretto. Per un giudizio complessivo aspettiamo i risultati”. Intanto chiedete gli atti dell’indagine di Reggio Calabria sul traffico internazionale di rifiuti radioattivi. Ma quell’inchiesta, dicono gli stessi magistrati, al momento è morta… “E allora che la resuscitino”.