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Archivio per aprile 2018

La bonifica? «Non necessaria». Secondo l’Arpacal nonostante gli inquinanti “non c’è pericolo”

18 aprile 2018 Commenti chiusi

Nel 2016 in commissione ambiente caso chiuso e tutto fermo, ma questo non ha fermato il Comitato De Grazia

di Valerio Panettieri su “Il Quotidiano del Sud” 17 aprile 2018

COSENZA, 17 apr. 2018  – Viste le risultanze è chiaro che bisogna parlare della bonifica di quelle zone. Cosa almeno fino ad oggi mai avvenuta, nonostante 21 milioni di euro a disposizione solamente per i lavori iniziali. Questo dovrebbe chiarire l’entitàell’inquinamento. Nel 2013 l’Ispra aveva anche specificato come tutto questo non si potesse fare con mezzi ordinari. Una operazione troppo complessa e vasta che richiederebbe mezzi speciali particolari. Cinque anni dopo di tutto questo non se ne parla neanche di striscio. L’ultima volta che la questione è entrata in una stanza istituzionale è stato nel 2016, quando il comitato civico Natale De Grazia aveva consegnato una lettera al presidente della commissione regionale Ambiente, Mimmo Bevacqua. La questione venne chiusa nella maniera peggiore possibile. “La Commissione – venne scritto nel resoconto della seduta –prende atto delle indagini dell’Arpacal che, relativamente all’inquinamento del fiume Oliva, esclude un danno diretto alla popolazione. Relativamente alla necessità di pervenire allo smaltimento dei rifiuti, dà mandato al dipartimento Ambiente di individuare un percorso per affrontare fattivamente e risolvere il problema”. Come dire: troppo tardi. La grande quantità di rifiuti, fanghi, metalli pesanti nel tempo sono state “lavate via” dal corso d’acqua, con conseguenze difficilmente interpretabili.

Questo però non ha fermato il comitato civico De Grazia che per bocca di Gianfranco Posa ha ribadito la necessità della rimozione di tutti quei rifiuti. «Purtroppo le motivazioni che hanno spinto il comitato De Grazia, in tutti questi anni, a sollecitare la bonifica – ha dichiarato Posa – trovano conferma e si rafforzano nella sentenza della Corte d’Assise di Cosenza che ha confermato il disastro ambientale compiuto nell’Oliva con conseguente inquinamento delle acque sotterrane e gravi ripercussioni sulla salute della popolazione locale. “Non vi è nessun dubbio” sostiene la Corte – fa notare il portavoce del Comitato -, circa l’interramento illecito di rifiuti pericolosi nelle profondità del bacino del fiume Oliva dovuto ad attività sistematica ed organizzata e non a sporadici abbandoni di rifiuti come qualcuno sosteneva. La stessa Corte – aggiunge – ribadisce che il fatto che nessuna opera di bonifica sia stata operata “consente di ritenere che il pericolo per la salute dei cittadini, oltre a non essere cessato, sia o possa essere anche adesso drammaticamente attuale”. Pertanto come associazione – annuncia il portavoce del De Grazia – continueremo a fare quanto possibile per ottenere la rimozione dei rifiuti presenti nel bacino del fiume Oliva, soprattutto per le aree maggiormente inquinate come Foresta e Carbonara che ricadono nell’alveo del fiume e quindi sono maggiormente soggette alla forza erosiva delle sue acque che potrebbero far risalire in superficie le sostanze inquinanti portandole verso il mare.
La Regione Calabria – Conclude Posa – in più occasioni ha dichiarato che sarebbero stati stanziati i fondi per la messa in sicurezza dell’area ma ad oggi, nonostante l’analisi del rischio –ultimo atto necessario prima della bonifica – sia stata depositata da oltre un anno, nessun intervento
è stato ancora realizzato».

I siti inquinati

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Il mistero del Cesio 137, nel 2011 l’Ispra disse “No”

18 aprile 2018 Commenti chiusi

Ma al processo gli esperti hanno confermato, Ancora troppi dubbi e misteri sul caso

di Valerio Panettieri su “Il Quotidiano del Sud” del 17 apr. 2018

COSENZA, 17 apr. 2018 – La presenza del Cesio 137 sotto terra nella briglia del fiume Oliva a pochi passi da Serra d’Aiello è certamente, tra le tante, la cosa più inquietante di questa vicenda ormai decennale.
E non è stata mai accertata al di là di ogni ragionevole dubbio. Anzi, negli anni l’Ispra ha anche derubricato quelle rilevazioni come “figlie” della radioattività di fondo di Chernobyl.
Questo radionuclide infatti è esclusivamente di origine artificiale. La sostanza che è stata ritrovata in alcuni fanghi, presumibilmente scarti industriali, e nel corso del tempo in base alle analisi fatte dagli esperti si è distribuita anche nelle zone limitrofe. Il Cesio, calcolato in Becquerel al chilogrammo, in alcune zone ha superato il valore di 93 Bq/Kg. Tutto questo distribuito in più aree: Foresta, Carbonara e Giani tra Serra D’Aiello e Aiello Calabro. Questo potrebbe aver generato un aumento delle patologie tumorali nella zona, a partire da tumori maligni del colon, retto, fegato e mammelle. Il periodo preso di riferimento sarebbe quello tra il 1992 e il 2001, quando venne registrato un eccesso statisticamente significativo di ricoveri ospedalieri per analoghe patologie rispetto a tutto il territorio regionale. E poi c’è la morte di un pescatore per neoplasie polmonari e le lesioni generate ad un altro uomo, a causa di una sarcoidosi con interessamento polmonare. I due, non residenti lì, dal 1993 avevano passato parecchie giornate in zona per pescare trote e anguille, proprio sotto la briglia in questione. Il rischio è che tutta questa fogna chimica sia passata direttamente nella catena alimentare, finendo per contaminare un’area più ampia rispetto al semplice percorso del fiume fino alla foce. Da dove arriva il cesio invece resta un mistero, vista la profondità è davvero colpa della centrale dell’ex Urss? Il sospetto è che sia il risultato di uno smaltimento illegale dei bidoni spiaggiati assieme alla motonave Jolly Rosso, anche se una verità storica non è stata mai accertata.
Certo, nel 2008 furono rilevate per la prima volta da un consulente della Procura, inizialmente suffragate dall’Ispra e infine confermate nel 2015 da un dipendente dell’agenzia per l’ambiente della Lombardia in fase dibattimentale, che ne ha individuato le cause in “residui di lavorazione industriale contaminati da sostanze certamente radioattive”.

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Il fiume Oliva affogato nei rifiuti

18 aprile 2018 Commenti chiusi

Nelle motivazioni della sentenza che ha assolto cinque imputati ribadita la contaminazione “certa” dovuta a materiale interrato

La prima pagina del quotidiano del 17 aprile

di Valerio Panettieri su “Il Quotidiano del Sud” del 17 aprile 2018

COSENZA, 17 apr. 2018 – In determinate aree del fiume Oliva, per almeno vent’anni, “senza ombra di dubbio” sono stati gettati rifiuti di ogni sorta. Da scarichi industriali a scarti di edilizia, fanghi sconosciuti dai colori innaturali (giallo, verde, azzurro), e presumibilmente sostanze radioattive di natura artificiale. Un totale di 162mila metri cubi di materiale, più o meno equivalente a quindicimila camion di grande portata a pieno carico. In poche parole, quel piccolo fiumiciattolo che attraversa le colline di Aiello e Serra d’Aiello per poi sfociare nei dintorni di Amantea, a discapito della sua oggettiva bellezza naturale, è una gigantesca discarica sotterranea. E’ stato più volte ribadito negli anni delle inchieste sulle navi dei veleni, sul traffico illecito di rifiuti della zona e a dicembre scorso certificato anche nelle motivazioni dei giudici della corte d’Assise di Cosenza. Un procedimento che ha portato all’assoluzione di cinque imputati: Cesare Coccimiglio, imprenditore della zona, Vincenzo Launi, Giuseppina Marinaro, Antonio Sicoli e Arcangelo Guzzo (per gli ultimi quattro lo stesso pm aveva chiesto l’assoluzione), ma anche ad una certezza.
Gli scarichi illegali nascosti a svariati metri di profondità sul fiume Oliva ci sono stati, lo provano analisi, carotaggi, rapporti dell’Arpacal e documenti dei consulenti utilizzati dalla Procura in fase di indagine. I pm hanno presentato ricorso in Appello.  

COSA C’E’ LI’ SOTTO – Sono sette i siti analizzati nel corso degli anni, ognuno con le sue “peculiarità”. Da sotto terra sono spuntate quantità elevatissime di metalli pesanti, a partire dal mercurio, che quasi certamente è entrato in circolo danneggiando in primis la fauna ittica. I pesci, dunque, sono stati letteralmente intossicati. E considerata l’estrema vicinanza con il mare si presume che tutto questo sia arrivato fino alla costa, allargando sensibilmente l’area di inquinamento.
In mezzo c’è il radionuclide artificiale Cesio 137, generalmente uno scarto delle centrali nucleari a fissione, che secondo diverse analisi è presente a quantità molto alte nella zona della briglia in cemento costruita per frenare il percorso dell’acqua.
L’Ispra nel 2011 aveva attribuito quella presenza al caso Chernobyl, ma nel 2015, durante il processo, un esperto dell’agenzia per l’ambiente lombarda e alcuni esperti avevano rimarcato la possibile natura artificiale di quelle emissioni. Lì sotto è stato anche ritrovato un sarcofago di cemento, strapieno di fanghi industriali. Scarti di un qualcosa ancora oggi difficilmente identificabile.
Per molti si tratterebbe della prova dei bidoni della Jolly Rosso, fatti sparire probabilmente in una vecchia cava nei giorni successivi allo spiaggiamento della nave nel 1990 a Formìciche di Amantea. E ancora: cobalto, arsenico, cromo, freon, cadmio e idrocarburi. Tutte sostanze altamente cancerogene e venefiche, concentrate e assorbite a profondità notevoli. Così tanto da aver persino toccato una falda acquifera sotterranea. Acqua che viene utilizzata per l’agricoltura (quasi tutta la zona è a vocazione agricola) e fino a qualche anno fa anche spillata da una fontana pubblica, poi chiusa.

 LE RIPERCUSSIONI –Nessuna relazione certa, premettiamo. Ma qualche domanda la Procura se l’è posta riguardo alla morte di un pescatore per patologie tumorali gravi e le lesioni generate ad un secondo uomo. I due infatti andavano a pescare in una vasca nei dintorni della briglia, così come hanno cercato di dare una spiegazione alle trote a diversi stadi di crescita che presentavano deformazioni fisiche. Inoltre c’è da fare i conti con l’incidenza tumorale nella zona, confermata da un consulente della Procura, che secondo quanto scritto presenta delle anomalie statisticamente rilevanti. L’unico punto fermo resta la presenza di quei rifiuti, il resto è puramente speculativo ma probabile. Il fiume Oliva è stato avvelenato, così le colture intorno e le popolazioni che ci vivono.

 LA BONIFICA– Il tasto dolente è che sulla bonifica iniziale della zona era stata ipotizzata una spesa di 21milioni di euro, ma di tutto questo non c’è traccia. Nella relazione dell’Ispra risalente al 2013 era scritto nero su bianco, così come l’impossibilità di “porvi efficacemente rimedio con mezzi ordinari nonostante uno stanziamento così imponente”. Rifiuti che “ancora oggi” – si legge nelle motivazioni – continuano a produrre “conseguenze altamente ed irreversibilmente dannose per cose, persone, animali”. Perché allora due anni fa in Commissione ambiente si è detto che quella bonifica non era necessaria? Ancora ci si interroga su misteri e contraddizioni.

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