Il segreto di Ilaria Alpi

Il segreto di ilaria

Un gigantesco traffico di rifiuti tossici verso la Somalia. Servizi segreti deviati. Faccendieri. E il racconto di una teste somala: ‘La Alpi indagava su quella pista’

di Riccardo Bocca

C’è un filo invisibile che lega Mogadiscio a Reggio Calabria. Un nesso che unisce le indagini sull’omicidio di Ilaria Alpi, la giornalista del Tg3 uccisa il 20 marzo 1994 in Somalia con l’operatore Miran Hrovatin, e quelle sul misterioso ingegnere Giorgio Comerio, protagonista secondo gli investigatori calabresi di un gigantesco traffico di rifiuti radioattivi con altri faccendieri, malavitosi e trafficanti d’armi. Uno scandalo di livello internazionale nel quale sarebbero coinvolti decine di governi, europei e non, e intorno al quale si sarebbero per anni mossi agenti dei servizi segreti deviati e personaggi iscritti a varie massonerie. Su questo stava indagando negli anni Novanta la Procura di Reggio Calabria, poi stoppata da un’archiviazione. L’obiettivo dei magistrati era dimostrare che un gran numero di navi venivano riempite di scorie radioattive e affondate nei punti più profondi. Non solo. Nel corso dell’inchiesta gli investigatori avevano trovato tracce del traffico di rifiuti speciali che dall’Europa venivano traghettati in Africa, oltre che del sistema O.d.m. (Oceanic disposal management) con cui il faccendiere Comerio voleva stipare la pattumiera radioattiva in siluri per spararla sotto i fondali marini. Tutti elementi che non hanno portato a un’incriminazione, a una condanna, ma che nelle informative riservate della Procura di Reggio Calabria rivelano uno stretto nesso coi fatti somali. Non è un caso, dicono gli inquirenti, se dopo anni di silenzio la scorsa settimana è stato denunciato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Alpi un grave tentativo di depistaggio. Non è un caso se personaggi oscuri ora cercano di deviare l’attenzione, proponendo inesistenti foto satellitari dell’aggressione alla giornalista. E nemmeno, dice Domenico d’Amati, avvocato della famiglia Alpi, che venga diffusa la notizia secondo cui la Commissione parlamentare d’inchiesta avrebbe intravisto dietro l’agguato l’ombra di Al Qaeda. “Il meccanismo è evidente”, sostiene: “Fornire falsi indizi su soggetti sospetti per screditare l’indagine o inventarsi nuove piste per allungare i tempi. La riprova che gli interessi in ballo sono enormi, e ancora oggi c’è chi teme che vengano svelati”. Parole che trovano facile conferma. Basta tornare al settembre del 1999 per scovare un altro incredibile episodio che lega il traffico di rifiuti radioattivi alla morte della giornalista del Tg3. Al centro della scena questa volta è Francesco Gangemi, sindaco di Reggio Calabria per tre sole settimane nel 1992 e cugino dell’omonimo Francesco, condannato a 10 anni per camorra. Ma soprattutto direttore del mensile calabrese “Il dibattito”, foglio a dir poco aggressivo con pirotecnici attacchi a politici e magistrati. A sua firma, sei anni fa, parte un’inchiesta dal titolo: “Chi ha ucciso Ilaria Alpi?”. Più puntate precedute da una singolare introduzione: “Fin dai primi passi di questa mia lunga strada, che immagino irta di ostacoli e contraccolpi”, scrive Gangemi, “voglio informare i nostri lettori e le autorità che eventuali rappresaglie che dovessi subire non sarebbero certo riconducibili alla ‘ndrangheta o ad altre organizzazioni criminali, ma ai servizi segreti deviati e assoggettati a taluni magistrati inadempienti ai loro doveri d’ufficio e al governo, che rimane il fulcro delle operazioni sporche che stanno inginocchiando l’umanità intera a fronte di vantaggi di varia natura”. Di fatto oggi il mensile “Il dibattito” è stato sequestrato, e il suo direttore arrestato lo scorso novembre con l’accusa di aver esercitato pressioni su magistrati dell’Antimafia di Reggio Calabria per conto di una lobby di potere che voleva influenzare inchieste su politici e mafiosi locali. Ma allora, tra la fine del ’99 e il 2000, Gangemi ha avuto il tempo e il modo di pubblicare molti documenti segreti dell’inchiesta reggina. Pagine e pagine dalle quali emergono notizie esplosive. Rivelazioni che aiutano a capire il sistema occulto con cui per anni è stata illecitamente smaltita la pattumiera nucleare, ma anche indizi preziosi per meglio comprendere l’intera vicenda Alpi. In questo senso vanno lette le dichiarazioni che il 10 luglio 1995 il teste chiamato Alfa-Alfa rilascia al sostituto procuratore di Reggio Calabria Francesco Neri e al capitano di corvetta Natale De Grazia, consulente chiave morto poco dopo in circostanze non chiare. Il testimone in realtà si chiama Aldo Anghessa ed è un personaggio più che discusso, per sua stessa ammissione protagonista di azioni di intelligence e in quel momento agli arresti domiciliari, indagato per traffico di armi e materiale nucleare. “A partire dal 1987″, spiega, “è attiva in Italia una lobby affaristico-criminale che gestisce le seguenti attività: traffico di rifiuti tossico-nocivi e radioattivi, stupefacenti, armi, titoli di Stato falsificati e (…) materiali strategici nucleari”. Per quando riguarda le scorie tossiche e radioattive, continua Anghessa, “si ha certezza che lo smaltimento può avvenire con tre distinte modalità: l’interramento in località del sud Italia in vecchie cave o discariche, l’affondamento di navi normalmente in zone extraterritoriali o lo smaltimento presso paesi del Terzo mondo come (…) il Libano, la Somalia fino al 1992, la Nigeria e il Sahara ex spagnolo (…). Detti traffici”, specifica Anghessa, “sono sicuramente gestiti a livello di vertice da soggetti iscritti a logge massoniche italiane ed estere”. Quanto ai potentati della politica, secondo il teste Alfa-Alfa il loro ruolo è altrettanto centrale: “È opportuno far rilevare a questo ufficio”, racconta, “che nell’occasione del sequestro di 29,5 chili di uranio effettuato a Zurigo furono fermati dalla polizia elvetica otto individui tra i quali due italiani. Uno di questi è Pietro Tanca, il quale ha affermato: “Io sono qui non per ritirare denaro (se ricordo bene 18 milioni di dollari), ma per verificare l’esistenza del denaro di competenza della parte politica italiana che copre l’operazione”. I nostri tentativi per capire quale fosse la parte politica cui si riferiva”, commenta Anghessa, “sono stati vani, anche per la proterva azione della polizia elvetica, che anziché collaborare ha scientificamente ostacolato le indagini”. Quanto a Tanca, “appena rilasciato dalla polizia elvetica e rientrato in Italia è stato arrestato su ordine di custodia cautelare emesso dal gip Felice Casson”. Il quadro, a questo punto, era più che allarmante. Addirittura, ricordano i magistrati, ebbero la sensazione di confrontarsi con qualcosa di dimensioni pazzesche, inimmaginabili. Troppo, per una Procura che si muoveva artigianalmente, senza eccessiva esperienza nel settore dei traffici radioattivi. Ad ogni parola il teste Alfa-Alfa allargava lo scenario, infilando nomi su nomi, particolari su particolari, indirizzi su indirizzi. Fino a sostenere l’esistenza di una rete di coperture istituzionali a livello internazionale: “Ne sono convinto”, afferma Anghessa. E a riguardo cita Guido Garelli, arrestato in un’inchiesta sui traffici nocivi, più volte citato nell’inchiesta Alpi e a suo avviso “riconducibile a un organo di informazione dello Stato”, tant’è che “era uso chiamare numeri telefonici di basi militari italiane e aveva pass Nato per entrare e uscire in basi militari italiane”. Fa anche il nome, Anghessa, di Elio Sacchetto “tessera P2, arrestato nel 1988 assieme al Garelli”. Finché, parlando del “livello intelligente” dell’organizzazione criminale, costituito da “soggetti di classe sociale visibilmente elevata, di abitudini raffinate, tutti regolarmente riconducibili a logge massoniche più o meno segrete”, spunta la figura di Giorgio Comerio: il titolare del sistema di affondamento delle scorie con missili, ma anche il protagonista di indagini delicate come quella sul naufragio della nave Rigel o sullo spiaggiamento della motonave Rosso, dove la Capitaneria di porto trova copia del suo progetto O.d.m.. Scrivendo di lui, il direttore del “Dibattito” Francesco Gangemi spende frasi pesanti: “La Procura di Reggio Calabria ha accertato l’esistenza di un brutto affare collegato allo scarico dei rifiuti in Somalia”, si legge, “proprio dove la giornalista Ilaria Alpi si era recata per cercare la verità che altri hanno insabbiato, uccidendola per la seconda volta. La “cosa”", continua Gangemi, “girava sotto gli occhi consapevoli del governo somalo allora in carica, e a farla girare ci pensava il faccendiere Giorgio Comerio, considerato nell’ambiente della raffinata criminalità collegata ai servizi segreti e ai governi europei, e non solo europei, la mente eccelsa a disposizione dei primi ministri che avessero avuto interessi particolari nel traffico illecito (di rifiuti, ndr) a livello interplanetario”. Parole spropositate? Calunnie? I carabinieri di Reggio Calabria non la pensano così. Anzi, ribadiscono che “Comerio è al centro (…) di un’organizzazione mondiale dedita allo smaltimento illecito dei rifiuti radioattivi nell’ambito di uno scenario inquietante, ove si muovono soggetti senza scrupoli, compresi uomini di governo di tutte le latitudini che pur di trarne vantaggi economici non stanno esitando a mettere in pericolo l’incolumità dell’intera popolazione mondiale”. Uno scenario da apocalisse che secondo gli inquirenti riguarda anche la Somalia, dove stando alle informative pubblicate sul “Dibattito” Comerio è attivissimo. “Nella sua abitazione”, spiegano gli investigatori, “è stata sequestrata una cartella gialla, tra le altre, contraddistinta dal numero 31 ed intestata alla “Somalia”. All’interno vi era custodita documentazione inerente al progetto O.d.m. relativo ai siti marini somali. In particolare le cartine indicano due ampie zone di mare, di cui una a nord e l’altra al centro della suddetta nazione. La prima zona”, riferiscono, “è indicata con sei punti di affondamento”, dei quali il primo è “leggermente a sud rispetto allo specchio d’acqua antistante la città di Tohin”. La segnalazione è importante, perché si aggiunge alle dichiarazioni fatte lo scorso novembre dal maresciallo dei carabinieri Nicolò Moschitta alla Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti (“Comerio era l’unico a inabissare lì rifiuti radioattivi”) e coincide con altre notizie raccolte dagli investigatori. C’è infatti agli atti un fax nel quale Ali Islam Haji Yusuf, membro dell’Autorità del servizio mondiale per i diritti umani di Bosaso, scrive al dipartimento del nord-est somalo delle Nazioni Unite per denunciare che “al largo della città di Tohin, del distretto di Alula, nella regione del Bari, due navi sconosciute stavano effettuando un’operazione insolita, vale a dire che mentre una scavava sui fondali del mare, l’altra seppelliva in dette buche dei container dal contenuto sconosciuto. Tale operazione”, spiegano i carabinieri, “stava creando tensione fra la popolazione locale, che è ostile al seppellimento in mare di rifiuti tossici e radioattivi”, e pertanto Haji Yusuf “chiedeva aiuto per un intervento urgente (…)”. Allo stato, concludono i carabinieri, “non è dato sapere sull’evoluzione di tali vicende”, mentre è a loro avviso sicuro che il primo sito di affondamento indicato nella mappa di Comerio è “in prossimità della zona segnalata lo scorso novembre da Haji Yusuf (…)”. “Evidentemente”, scrivono gli investigatori al sostituto procuratore Neri, “Comerio è già operativo in dette acque”. E per cancellare eventuali dubbi aggiungono: “Non deve meravigliare il fatto che al posto dei penetratori il Comerio stia utilizzando le trivelle, in quanto quest’ultima soluzione è stata sempre l’alternativa alla prima nell’ambito del progetto O.d.m.”. Una tesi supportata dalla documentazione che i magistrati hanno trovato nella cartella “Somalia” in casa di Comerio. Un fitto incrocio di comunicazioni fra Comerio stesso e le autorità somale che lascia sbalorditi. “Nella suddetta vicenda”, documentano gli investigatori, “assume rilievo la posizione del mediatore Pietro Pagliariccio, alias Giampiero, il quale è stato denunciato alla S. V. in concorso col Comerio ed altri per smaltimento illecito di sostanze radioattive (…)”. A lui, si legge nell’informativa, Comerio scrive il 22 settembre 1994 una lettera su carta intestata O.d.m. con cui “lo informa che la sua società è disponibile a pagare 10 mila marchi tedeschi ad ogni lancio (di missili-penetratori, ndr) quale importo extra” rispetto “alle condizioni finanziarie indicate nel contratto per i dispositivi nel nord della Somalia, che è di 10 mila marchi tedeschi per ogni penetratore sull’importo complessivo di 5 milioni di marchi l’anno. Il Comerio”, continuano i carabinieri, “precisava che il pagamento extra sarebbe avvenuto a fronte del rilascio della licenza da parte del presidente ad interim Ali Mahdi Mohamed. I pagamenti dovevano avvenire attraverso una banca non indicata, presso cui la società avrebbe costituito un deposito di 500 mila marchi valido per un anno, dal quale verranno pagati 10 mila marchi già previsti per ogni penetratore entro i dieci giorni successivi alla posa in opera”. Non sono millanterie, si convincono gli investigatori, bensì le dettagliate note di un progetto a breve termine. Un accordo verso cui lo stesso presidente ad interim Ali Mahdi mostra grande attenzione. Come dimostra il fax in lingua inglese che il 17 giugno 1994 invia su carta intestata della Repubblica somala al segretario e ministro plenipotenziario Abdullahi Ahmed Afrah. All’interno, spiegano i carabinieri, “il presidente gli comunica la titolarità della gestione degli accordi con la O.d.m., la cui validità sarà però sempre soggetta a ratifica da parte del governo o del presidente stesso”. Da quel momento, si legge nell’informativa, partirà un lavorìo di fax e incontri, proposte e iniziative. Fino all’accordo conclusivo e il passaggio alla fase due: quella operativa. È di tutta questa rete di traffici che molto probabilmente Ilaria Alpi era venuta a conoscenza nei primi mesi del 1994. Aveva scoperto la gigantesca macchina internazionale che scaricava rifiuti tossici in Africa, l’intreccio con la spirale delle armi, i segreti più occulti protetti dalla generica facciata della Cooperazione. Non per niente, scrive Francesco Gangemi, “il fascicolo 18 con gli atti relativi alla Somalia” della magistratura di Reggio Calabria “contiene pure il certificato di morte della Alpi”. E non per niente Fadouma Mohamed Mamud, figlia dell’ex sindaco di Mogadiscio, dichiara a verbale il 16 giugno 1999: “Ilaria mi aveva dichiarato che seguiva una certa pista, una pista abbastanza pericolosa (…) di cui non dovevo parlare con nessuno (…). Si interessava a certe cose orrende che venivano fatte sulle coste della Somalia, che venivano scaricate sulle nostre coste, sul mare dei rifiuti tossici”. Elementi che fanno ripensare agli strani fatti avvenuti dopo l’omicidio: la sparizione degli appunti (quando le borse della giornalista arrivano in Italia, all’appello mancano tre block notes), la sottrazione di fogli con numeri telefonici, nonché le modalità dell’uccisione: a freddo, con un colpo solo, come un’esecuzione. Tutte ragioni per cui la Commissione parlamentare presieduta dall’onorevole Carlo Taormina dovrebbe ora investigare sul complesso intreccio di attività coordinato da Giorgio Comerio, oltre a seguire le tracce di Al Qaeda. Anche perché i genitori di Ilaria Alpi, a fianco della pista Bin Laden, vorrebbero saperne di più sul faccendiere lombardo, del quale non ricordano di avere sentito il nome durante le indagini sull’omicidio della figlia. E lo stesso vale per il loro avvocato, che non era finora a conoscenza dei punti di contatto tra la clamorosa inchiesta di Reggio Calabria e il capitolo somalo. Eppure i motivi di interesse sono evidenti, e le coincidenze pure. Gli stessi carabinieri, in un’informativa del 25 maggio 1995 sui traffici radioattivi scrivono che Comerio “sembra essere, man mano che le indagini vengono approfondite, il deus ex machina di tutte le vicende in esame che interessano tutti i territori internazionali”. E non è un’esagerazione. Da un’informativa datata 25 maggio 1995, firmata dal comandante del nucleo operativo dei carabinieri di Reggio Calabria Ivano Tore, emergono altri retroscena della O.d.m. connection, stavolta sul fronte internazionale delle armi ma sempre con un capitolo somalo. Il che conferma quanto dichiarato anche in questo senso dal maresciallo Moschitta alla Commissione sul ciclo dei rifiuti. “Interessanti”, scrive Tore, “sono gli appunti manoscritti rinvenuti nell’abitazione di Gabriele Molaschi (socio di Giorgio Comerio nella O.d.m., ndr), sui quali vi sono annotazioni sulle armi da fornire, e più precisamente carri armati Leopard, autoblindo, mitragliatrici “Breda”, elicotteri, Mig, artiglieria pesante e leggera. In questo contesto si inseriscono alla perfezione i suoi continui contatti con Mosca (…), così come sono importanti quelli con Israele ed in particolare con tale Sammy Elrom della Spectronix Ltd., con fabbrica in Sderot e uffici vendita a Tel Aviv. Tale agenzia, operante nel settore strategico militare, ha avviato via fax una trattativa per acquisire sistemi di protezione da attacchi aerei e terrestri da installare in autoblindo, facendo riferimento ai sistemi montati sui mezzi militari italiani in Somalia (…). In merito a ciò”, continua Tore, “si segnala la corrispondenza tra il Molaschi e la società israeliana, poiché potrebbe interessare l’incolumità della sicurezza nazionale dello stato italiano”. E come se non bastasse, sottolinea l’esistenza di una “corrispondenza in inglese tra il Molaschi e la suddetta ditta per la vendita di 2 milioni di cartucce per fucili kalashnikov”. Sarebbe interessante, a questo punto, sapere che fine abbiano fatto tutte queste storie, tutti questi personaggi. Sarebbe anche importante capire perché, nel settembre 1999, il direttore del “Dibattito” di Reggio Calabria abbia deciso di pubblicare atti coperti dal segreto più assoluto. Certa, al momento, è solo la risposta che i massimi vertici della Procura di Reggio Calabria hanno dato a “L’espresso”, interessato a consultare i faldoni della vicenda: “Non è possibile. L’inchiesta al momento è ferma, ma potrebbe prima o poi ripartire; dunque, vista l’enorme delicatezza della questione, il divieto è assoluto”. Se davvero l’indagine ripartisse, se si chiarissero i legami tra i mercanti di rifiuti radioattivi, la politica e l’omicidio Ilaria Alpi, sarebbe comunque una risposta positiva.