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Posts Tagged ‘Navi dei veleni’

Valle Oliva. I fantasmi ritornano

16 dicembre 2011 Commenti chiusi

Pezzi della Jolly Rosso nei terreni del fiume ma anche lungo il litorale amanteano. E veleni sono stati ritrovati pure nell’area del Savuto

di Roberto De Santo sul Corriere della Calabria n. 24

A volte ritornano. I fantasmi di un passato prossimo, che qualcuno ha voluto a tutti i costi rimuovere, riaffiorano. E, come nel migliore dei film dell’orrore, provocano sgomento e terrore. L’inchiesta portata avanti dal capo della Procura di Paola, Bruno Giordano, sull’interramento di sostanze tossiche radioattive nella valle dell’Oliva riserva anche quest’ultimo colpo di scena: la motonave Rosso, meglio conosciuta come “Jolly Rosso”, è nel fascicolo di quell’inchiesta. Un mistero nel mistero. Visto che su quella nave, ma soprattutto sul suo contenuto – nonostante l’archiviazione disposta nel 2009 dal pm Francesco Greco – aleggiano ancora troppi quesiti irrisolti.

Dubbi alimentati soprattutto dalla circostanza che quella nave era stata utilizzata nel 1988 dal governo italiano per recuperare in Libano materiale altamente pericoloso: 9.532 fusti di rifiuti tossici nocivi, esportati illegalmente da aziende italiane.

Un’imbarcazione, dunque, passata agli onori della cronaca come una delle cosiddette “navi dei veleni”. Ora a rievocarla, come appunto uno spettro, il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Paola, Giuseppe Battarino, che nella ordinanza che ha disposto i domiciliari per Cesare Coccimiglio – l’imprenditore amanteano del ramo dell’edilizia responsabile, secondo l’accusa, dell’interramento dei veleni nella valle dell’Oliva – ne fa esplicito riferimento: «Vi è prova – scrive il gip – della partecipazione dell’indagato (Coccimiglio, ndr) alle operazioni che si svolsero intorno alla nave Jolly Rosso, arenatasi nel dicembre del 1990 sulla spiaggia di Amantea». Ma vi è di più. Il gip di Paola, citando un’indagine svolta nel 1997 dalla guardia costiera di Vibo Valentia e da alcuni uomini della polizia giudiziaria della Procura paolana, racconta di un altro passaggio che, se dovesse risultare vero, sarebbe terrificante. Il materiale che conteneva quella nave sarebbe stato rinvenuto sia nei terreni dell’Oliva sia a mare: precisamente nella spiaggia del litorale amanteano. «A distanza di tempo – si legge a questo proposito nell’ordinanza di Battarino – in coincidenza con l’intervento dell’azienda dell’indagato (Coccimiglio, ndr) per il rinascimento di un tratto di costa con materiali inerti, sono riemersi parti metalliche di nave Ro-Ro, del tipo di quella arenata (appunto la Jolly Rosso, ndr), e parti di fusti, ritrovati da operanti della Guardia costiera, sia sulla spiaggia interessata dallo scarico di materiali, sia nel punto di prelevamento dei materiali stessi da parte dell’indagato, in Aiello Calabro, località Valle del Signore».

Un collegamento tanto logico tra i due episodi da far dire al giudice: «Nessuna alternativa logica vi è alla ricostruzione di un intombamento di materiale proveniente dalla nave (la Rosso, ndr), in un’area collinare (Oliva, ndr), e del loro affioramento in occasione del prelievo degli inerti nel medesimo punto». E se quel materiale fosse costituito dalle sostanze riscontrate dall’Arpacal e dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), i risvolti di quell’inchiesta sarebbero da incubo.

Ricordiamo che lo scorso anno, come già anticipato dal Corriere della Calabria, nel corso dei carotaggi effettuati dai tecnici dei due istituti portarono tra l’altro alla scoperta della presenza di Cesio 137 con valori fino a 16 volte superiori alla media del territorio – anche se per l’Ispra dovuti alla nube di Chernobyl – ma anche alla contaminazione chimica delle acque e dei terreni circostanti il fiume Oliva. Si tratta di 86mila metri cubi di fanghi industriali costituiti per lo più da arsenico (riscontrato con valori fino a 10 volte superiori alla norma), cromo, nickel, antimonio, zinco (cinque volte superiore alla norma) e cobalto. Ma anche idrocarburi, cadmio (6,5 volte superiore alla norma), cromoesavalente e rame. Tutte sostanze riscontrate in quantità almeno tre volte superiore ai limiti di legge nei sottosuoli dell’intera zona. Materiale che dunque potrebbe essere finito direttamente sulle nostre spiagge oltre che nei terreni e nelle falde acquifere della zona. E i riscontri oggettivi nelle mani degli investigatori sarebbero numerosi, dettati non solo dal rinvenimento del materiale contaminato ma da testimonianze dirette di quest’attività svolta dall’indagato sempre all’interno dell’Oliva. Un vero e proprio “dominus” di quei luoghi, che il gip definisce un «feudo» di Coccimiglio.

Ma dall’inchiesta sull’Oliva emerge anche un’altra drammatica verità che riporta alla ribalta il “modus operandi” della gestione dei rifiuti tossici-nocivi e radioattivi in Calabria.

Il connubio che esisterebbe tra “l’imprenditore-feudatario” dell’Oliva e le ‘ndrine locali. Se è vero quello che sostiene lo stesso gip che per svolgere la sua attività illecita «è entrato in contatto con realtà criminali organizzate ed interessate a una più ampia utilizzazione del territorio calabrese come “pattumiera” per rifiuti speciali e pericolosi ». Un passaggio proveniente da un’informativa della Distrettuale antimafia di Catanzaro del 2009. E infine un’ultima coda di questo film dell’orrore: «Il ruolo assunto dall’indagato Coccimiglio negli interramenti di rifiuti pericolosi in terreni di proprietà della Curia in Serra d’Aiello, e in Nocera Terinese lungo il corso del fiume Savuto, e i rapporti sottesi a tali condotte delittuose con strutture criminali organizzate». Così quei veleni, frutto d’interramenti svoltisi in almeno un ventennio nella zona – secondo l’inchiesta – sarebbero finiti anche altrove. Ma i limiti di questa contaminazione restano tutti ancora da scoprire.

Navi dei veleni. E’ l’ora della “vendetta” contro chi insegue la verità

2 aprile 2011 Commenti chiusi

NAVI DEI VELENI Chiesta l’archiviazione
Caso chiuso: la Cunski affonda tra le carte

ed inizia la guerra tra «poveri»

di Andrea Palladino (il Manifesto)

Dieci pagine per porre fine alla vicenda del relitto di Cetraro. Sono firmate dalla Dda di Catanzaro, che il sette marzo scorso ha chiesto al Gip di archiviare definitivamente il caso. Francesco Fonti si è inventato tutto e nei mari di Calabria non vi è nessuna nave chiamata Cunski, carica di fusti radioattivi, scrivono il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e il sostituto Alfonso Lombardo. Caso chiuso, dunque, e questa volta con l’ufficialità della giustizia.

In Calabria c’è chi si prepara ora alla seconda fase, quella della vendetta. Guai a chi ha sostenuto la battaglia per la verità sul traffico delle scorie, uccidendo il turismo, fonte principale di reddito per la costa del cosentino. In prima fila nella battaglia c’è Calabria Ora, guidata da Piero Sansonetti. «C’è anche chi si è arricchito scrivendo libri su tali fandonie – commenta Guido Scarpino sull’edizione dello scorso 27 marzo – e chi, ancora più furbo, senza arte né parte, ha raccolto premi immeritati diventando personaggio mediatico». Un riferimento, probabilmente, al Comitato Natale De Grazia di Amantea, che pochi giorni fa ha ricevuto il premio Borsellino. La caccia, insomma, è iniziata.

Occorre però leggere con attenzione le pagine della richiesta di archiviazione presentata dalla magistratura e, soprattutto, inserire questa decisione nel complesso e drammatico quadro della storia delle navi dei veleni. La ricostruzione dei magistrati si basa esclusivamente – stando alla richiesta presentata al Gip – sull’indagine svolta dal Ram, ovvero il Reparto ambientale marittimo. Con un unico obiettivo: la nave indicata da Francesco Fonti è una nave dei veleni? La risposta è nota, si trattava in realtà di un piroscafo affondato nella prima guerra mondiale. I Ram nella presentazione dei risultati della ricerca fatta nell’ottobre del 2009 dalla Mare Oceano al largo di Cetraro ci misero anche un tocco di ironia, mostrando la foto del capitano del sommergibile tedesco autore dell’affondamento. Ecco il vero colpevole, spiegarono.

La chiusura dell’inchiesta pone anche una pietra tombale sul metodo d’indagine che costò la vita al capitano Natale De Grazia, l’ufficiale delle Capitanerie di Porto che per primo, nel 1995, indagò sulle navi a perdere. De Grazia aveva intuito la chiave di questo tipo di indagini. Partire dal relitto per poi descrivere i traffici dei veleni e delle scorie radioattive è una strada che rischia di non portare da nessuna parte: se non c’è il relitto tutto si ferma. De Grazia partiva nelle sue indagini da un accurato lavoro di intelligence sulle rotte, analizzando le caratteristiche delle navi affondate nel Mediterraneo. E, da investigatore di razza, cercava di sviluppare i contatti con fonti riservate, ricostruiva il contesto, tracciava le relazioni tra i diversi trafficanti, non solo di rifiuti. Nella stanza che occupava a Reggio Calabria la parete era occupata da una cartina d’Italia, con i punti di affondamento e i percorsi via terra. Morì – in circostanze considerate ancora oggi sospette – mentre era in viaggio verso La Spezia, dove – secondo alcune ricostruzioni più recenti – avrebbe voluto incontrare un informatore molto importante.

C’è un punto chiave che viene glissato, evitato nella richiesta di archiviazione per il caso Cetraro: esiste un problema di inquinamento in quelle acque? La risposta non può che essere positiva, almeno secondo le uniche analisi note. Nel 2006 l’Arpacal – su richiesta della magistratura di Paola – fece un’indagine sulla qualità delle acque al largo della costa cosentina. Tre punti – a ridosso del luogo indicato da Francesco Fonti – risultarono contaminati da metalli pesanti, tanto che ne scaturì un’ordinanza di interdizione della pesca. Nell’agosto del 2008, però, l’ordinanza viene ritirata, nonostante altre analisi effettuate sempre dall’Arpacal avessero confermato i valori riscontrati due anni prima. Non solo. La Procura di Paola aveva chiesto di approfondire il quadro, di stabilire se esistessero radionuclidi artificiali nel pesce, visto che l’Arpacal aveva documentato la presenza di Cesio 137. Nulla venne fatto.

«Se non si trova un relitto, non esiste il fatto», commentano informalmente dal Reparto ambientale marittimo, considerato reparto di eccellenza delle Capitanerie di porto, mettendo la parola fine – dal punto di vista del Ministero dell’Ambiente – alla vicenda.
Come in tutte le storie di navi e di traffici la verità difficilmente viene a galla. C’è un punto nella vicenda di Cetraro che nessuno ha finora verificato. La localizzazione del relitto arrivò da fonti confidenziali, da pescatori che sostenevano di aver visto, in quello spazio di mare, affondare una nave. La presenza del Catania era nota, in un punto distante circa sette chilometri. Ora gli ufficiali del Ram sostengono che quel piroscafo è stato affondato in realtà dove doveva essere il relitto indicato da Fonti. Rimane una domanda finale: qualcuno ha verificato – anche con un semplice sonar – se sul punto dove doveva essere il Catania – secondo i registri nautici – non vi sia nessun relitto? Questa sarebbe stata senza dubbio la prova che avrebbe fugato ogni ragionevole dubbio. Prova che nel fascicolo non c’è.

Archiviata la querela dei Messina contro il direttivo del Comitato De Grazia

18 marzo 2011 Commenti chiusi

Jolly Rosso, cercare la verità sulla nave spiaggiata ad Amantea non costituisce diffamazione

Il Gip di Genova archivia l’accusa formulata dalla società Messina contro i vertici del “De Grazia”

Amantea, 18 mar. 2011 – Archiviazione perché la notizia di reato è infondata. Con questa motivazione il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Genova, dott. Fucigna, ha accolto la richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero nei confronti del presidente del Comitato Natale De Grazia, Gianfranco Posa, e degli attivisti Alfonso Lorelli, Francesco Saverio Falsetti e Maria Elena Del Pizzo difesi dall’avvocato Antonella Bruno Bossio del foro di Roma. Secondo il Gip, infatti, la querela per diffamazione presentata dai legali della Ignazio Messina & C. Spa, società armatrice della motonave Rosso, la nave spiaggiata in località Formiciche di Amantea il 14 dicembre 1990, deve essere archiviata perché le dichiarazioni espresse dagli attivisti del Comitato “De Grazia” rientrano pienamente nell’esercizio del diritto di cronaca che il giudice delle indagini preliminari riconosce ai membri del “De Grazia”. Ma vi è di più, secondo il giudice «non pare potersi ravvisare nell’articolo in questione alcuna espressione ingiuriosa o latamente offensiva; i sottoscrittori dell’iniziativa infatti hanno utilizzato espressioni equilibrate e ragionevoli nella loro portata comunicativa».

I Messina avevano ritenuto oggetto di querela la lettera con la quale nel mese di agosto 2009 gli attivisti del comitato avevano chiesto al comune di Amantea di intitolare il lungomare della cittadina tirrenica al comandante Natale De Grazia ripresa e pubblicata da alcuni siti internet. I querelanti avevano invocato, citando in giudizio gli attivisti del De Grazia, l’ordinanza di archiviazione del procedimento penale che vedeva indagata la società Messina, emessa il 12 maggio 2009 dal gip di Paola, tale ordinanza, secondo la parte offesa, avrebbe definitivamente concluso il lungo e travagliato iter giudiziario che ha visto coinvolta per quasi vent’anni la società, così riabilitando completamente la posizione della stessa e mettendola al riparo da ogni accusa mossa in precedenza dimenticando, «tuttavia, che tale provvedimento di archiviazione – secondo il Gip –  ha carattere parziale e non conclude l’intera vicenda relativa alla motonave Jolly Rosso».

Per tale denuncia il pubblico ministero aveva già chiesto l’archiviazione, verso la quale però la società Messina aveva presentato opposizione in relazione alla quale si è pronunciato il Gip Fucigna.

Nelle motivazioni contenute nella lunga ordinanza di archiviazione il Gip si addentra nel merito della vicenda valutando giustificati i molti dubbi sollevati dal “De Grazia” circa, sia i collegamenti tra la vicenda dello spiaggiamento della motonave e gli episodi di inquinamento riscontrati nella vallata dell’Oliva, sia anche il presunto legame tra il traffico dei rifiuti e la morte sospetta del capitano Natale De Grazia che stava indagando proprio sulla motonave Rosso. Il Gip si dilunga anche sull’altro aspetto non ancora chiarito e cioè i legami sospetti tra l’attività dell’ingegner Giorgio Comerio e il traffico portato avanti anche dalle cosche della ‘ndrangheta in materia di smaltimento illecito di rifiuti pericolosi. Il tutto, per il gip, visto che sull’intera vicenda esiste ancora una indagine della magistratura paolana rientrerebbe appunto nel diritto di cronaca esercitato dai membri del Comitato e definisce «La censura mossa dall’odierno querelante (…), sebbene possa essere ritenuta del tutto comprensibile (…)lascia tuttavia trasparire una percezione dei fatti eccessivamente esacerbata». E’ da precisare che già nella richiesta di archiviazione formulata dal PM era stato affermato il principio secondo il quale deve ritenersi «lecita la condotta di coloro che, perseguendo la ricerca della verità storica su taluni  fatti complessi ed insoluti, si limitino a riportare circostanze riferite in innumerevoli articoli di stampa ed oggetto di molteplici dibattiti da parte dei mezzi di comunicazione di massa, ancor più laddove si consideri che gli stessi, nel comunicare tali notizie, hanno altresì provveduto a precisare che si tratta di indagini ancora in corso» da qui la decisione del Gip di archiviare la querela.

Piena soddisfazione è stata espressa dai vertici del Comitato “De Grazia” che definiscono importante questa decisione perché restituisce serenità a chi negli anni si è impegnato per far emergere la verità sulla vicenda delle cosiddette “navi a perdere”. «Questa decisione adottata dal Gip, un risultato raggiunto per merito del grande lavoro svolto dal nostro avvocato Antonella Bruno Bossio,  – afferma Posa – permetterà di dare nuovo slancio alla nostra attività finalizzata alla ricerca della verità e la difesa del nostro territorio, che è, e resterà sempre il principale obiettivo dei nostri sacrifici personali».

Comitato Civico “Natale De Grazia”