Onorata Società ‘Ndrangheta

Onorata Società ‘Ndrangheta

La gerarchia. L’affiliazione. I simboli. I segreti. Nel memoriale consegnato ai magistrati, l’ex boss racconta regole e rituali delle cosche calabresi

di Riccardo Bocca

Due settimane fa “L’espresso” ha pubblicato il memoriale che un ex boss della ‘ndrangheta, qui anonimo per ragioni di sicurezza, ha consegnato alla Direzione nazionale antimafia. All’interno raccontava in prima persona i misteri dei traffici di rifiuti tossici in Italia e all’estero, ma anche i legami che la malavita calabrese avrebbe avuto con autorità dello Stato, faccendieri, servizi segreti e massoni. Ora, mentre si cercano riscontri alle sue dichiarazioni, il nostro giornale è venuto in possesso di un secondo memoriale, scritto dallo stesso collaboratore di giustizia. Un documento che descrive le origini della ‘ndrangheta, la sua struttura e i suoi rituali segreti, dall’affiliazione dei mafiosi alla loro ascesa nella gerarchia. Una testimonianza diretta che porta alla luce un mondo antico basato sull’onore, la lealtà e la famiglia. Ma anche sulla vendetta spietata contro chi tradisce. Voglio premettere che la ‘ndrangheta non è nata come organizzazione criminale in contrasto con lo Stato. È partita a inizio Novecento come fenomeno rurale di ribellione allo strapotere dei ricchi proprietari terrieri, che sfruttavano i contadini e usavano la legge per i loro comodi. Contro queste vessazioni fu creata una struttura che ricevette il nome di Mano Nera; un gruppo di persone che per garantire ai propri familiari condizioni di vita decenti estorceva denari ai padroni con le minacce. Un’attività a cui venivano affiancate anche ruberie di grano, di farina e bestiame, poi spartiti tra amici e parenti… Sono queste le parole con cui l’ex boss della ‘ndrangheta inizia il suo viaggio tra le regole e i rituali dell’organizzazione mafiosa calabrese. Una realtà di cui ha fatto parte per circa trent’anni e di cui conosce ogni aspetto. Comprese appunto le origini della Mano Nera, quando “alcuni personaggi, diventando benefattori dei diseredati, acquistarono la fama di uomini giusti e difensori della giustizia popolare. Con il passare degli anni”, racconta l’ex boss, “tali individui diventarono oltre che famosi anche molto potenti, al punto che la struttura della Mano Nera, sempre più ricca di nuovi affiliati, si trasformò da fenomeno rurale e di giustizia a fenomeno di criminalità organizzata. Una svolta avvenuta durante il periodo fascista, quando fu fondata quella che noi oggi conosciamo come ‘ndrangheta”. L’albero dei segreti “In quel momento”, continua l’ex boss, “iniziarono ad imporsi regole precise e legami indissolubili. Ogni affiliato veniva chiamato “dritto” e ogni capo aveva potere di morte sui suoi uomini. Non si trattava di una semplice struttura per delinquere. Prima ancora delle faccende pratiche è sempre venuta la tradizione, consegnata oralmente di padre in figlio. La storia vuole che dalla Spagna siano partiti tre cavalieri su cavalli bianchi, e che i loro nomi fossero Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Dopo un lungo viaggio, si narra, arrivarono sull’isola di Favignana, dove presero direzioni diverse. Osso rimase in Sicilia e fondò la Mafia, Carcagnosso si recò in Abruzzo e fondò la Camorra, mentre Mastrosso raggiunse la Calabria e fondò la ‘ndrangheta. Essa”, spiega l’ex boss, “è rappresentata dall’Albero della scienza, una grande quercia alla cui base è collocato il Capo bastone, detto anche Mammasantissima, che è il capo assoluto. Il fusto della quercia rappresenta invece gli sgarristi, cioè coloro che sono la colonna portante della ‘ndrangheta, mentre il rifusto (costituito dai grossi rami che partono dal tronco) è il simbolo dei camorristi, affiliati di secondo piano. Infine, sulla pianta ci sono i ramoscelli, ossia i picciotti, e le foglie, che indicano i cosiddetti contrasti onorati, soggetti all’organizzazione ma non affiliati. Va da sé”, precisa l’ex boss, “che le foglie che cadono sono gli infami destinati per il loro tradimento a morire”. Fiancheggiatori e uomini con dote “Riguardo alla struttura della ‘ndrangheta”, continua, “bisogna conoscere due parole chiave. La prima è “dote”, che sta a indicare il valore di merito conferito a un affiliato nel corso della sua carriera, e che aumenta nel tempo per gradi di “pesantezza”. La seconda parola è “contrasto”, con cui s’intende un soggetto senza alcuna dote, e dunque non affiliato. In questo senso è fondamentale, per i fiancheggiatori, potersi fregiare del titolo di contrasto onorato, perché ciò significa che pur non essendo interni all’organizzazione sono considerati personaggi di fiducia. Regole”, sottolinea l’ex boss, “che devono essere sempre tenute presenti da chi è legato alla ‘ndrangheta. Il mancato rispetto della gerarchia può infatti portare a conseguenze gravissime, e lo stesso discorso vale per il cosiddetto “locale”, termine col quale si intende un territorio dove abitano almeno 49 affiliati con varie doti. Anche qui le procedure sono fondamentali, prima fra tutte quella con cui gli stessi affiliati chiedono di diventare responsabili dell’ordine e delle attività nella loro zona. La domanda deve essere rivolta al locale principale, che da sempre è il territorio di San Luca, dove la quasi totalità degli abitanti di sesso maschile appartiene alla ‘ndrangheta, e dove fin dai tempi remoti sono avvenute le riunioni degli affiliati presso il santuario di Polsi. Tali riunioni si tengono ogni anno nei giorni 2,3 e 4 di settembre in concomitanza con la festa patronale della Madonna, vi partecipano tutti i rappresentanti dei locali italiani ed esteri, e si aprono con questa frase pronunciata dal Capo Società: “Alzo gli occhi al cielo e vedo una stella polare, calice d’argento, ostia consacrata con parole di omertà e formata Società. A nome dei vecchi antenati, conti di Russia e cavalieri di Spagna, che hanno sofferto 29 anni, 11 mesi e 29 giorni di ferro e catene, Osso, Mastrosso e Carcagnosso, vi impongo se armature bianche o nere portate e non verranno consegnate, con le stesse sarete praticati”. In pratica, dopo gli onori agli antichi fondatori, il capo informa che chi non consegna le armi verrà ucciso”. Sempre riguardo ai locali, l’ex boss aggiunge altri particolari. Ad esempio spiega come avviene il periodico rinnovo delle cariche, chiamato Buono Nuovo: “Una procedura”, dice, “richiesta da tutti gli affiliati al cosiddetto Maestro di buon ordine, responsabile del comportamento degli affiliati stessi. Inoltre, un locale è considerato “aperto” quando il “principale” ha dato il suo assenso, e “attivo” quando si tengono riunioni di ‘ndrangheta almeno una volta al mese. La data della riunione è generalmente fissata il giorno 29 al vespero, in quanto per tradizione ci si riunisce al calare del sole. Anche in queste occasioni viene rispettata la gerarchia interna del locale, dove il Capo bastone ha potere assoluto su tutti gli affiliati, il Contabile gestisce il ricavato delle attività del locale e il Crimine è colui che organizza le azioni criminali in genere. Tale triade nella ‘ndrangheta si chiama Copiata, e deve essere nominata ogni volta che un affiliato si presenta in un locale diverso da quello di appartenenza, oppure davanti alla richiesta di un affiliato con dote maggiore. In questo modo”, spiega l’ex boss, “nessuno può infiltrarsi dichiarandosi affiliato, anche se conosce i locali, in quanto non può sapere da chi è costituita la Copiata”. Il battesimo degli affiliati “I vertici dell’organizzazione”, continua, “sono particolarmente attenti al rischio degli infiltrati, e anche per questo il rito dell’affiliazione è un momento cardine. Tali affiliazioni”, riferisce l’ex boss, “possono avvenire sia nel locale sia in ogni altro posto, con la differenza che si definisce affiliazione di Società quando è conclusa altrove, per esempio in carcere. Qualunque sia il luogo prescelto, l’affiliazione viene chiamata “rimpiazzo”, per indicare che il soggetto sostituisce un picciotto nella Onorata Società, oppure “taglio della coda”, per specificare il passaggio da contrasto, soggetto che secondo tradizione cammina sollevando polvere, a picciotto, il quale cammina su un tappeto di erba e fiori. Ogni nuovo affiliato”, dice l’ex boss, “deve avere sette affiliati che lo presentano, e uno di loro garantisce nel bene e nel male introducendolo davanti al Circolo Formato: un gruppo composto da sette affiliati, dal Capo Bastone, dal Contabile e dal Crimine. Nel caso di cerimonia in carcere, gli affiliati sono sempre sette, con uno che nell’occasione funge da Capo Bastone. Per il resto la procedura è simile. Prima del saluto, tutti gli affiliati devono mettersi seduti a semicerchio con le braccia conserte, che non possono sciogliere per alcun motivo. Solo il Capo Bastone può muoversi liberamente, ed è lui che apre la riunione parlando in dialetto calabrese. Il dialogo che segue lo riferisco qui in italiano per ragioni di chiarezza e sintesi: lo stesso motivo per cui userò la sigla C.B. per Capo Bastone, A. per Assemblea e N.A. per nuovo affiliato: C.B.: “Buon vespero”. A.: “Buon vespero”. C.B: “Siete conformi?”. A.: “Siamo conformi”. C.B.: “Su che cosa?”. A.: “Sulle regole di Società”. C.B.: “Nel nome dell’arcangelo Gabriele e di sant’Elisabetta, il circolo di società è formato. Ciò che si dice in questo circolo a forma di ferro di cavallo qua si dice e qua rimane. Chi parla fuori da questo luogo è dichiarato tragediatore a suo carico e a discarico di questa società. Siamo qui riuniti per affiliare un contrasto onorato che si è distinto per virtù e umiltà. Per lui si fa garante… (e indica l’affiliato che garantisce la presentazione). Se qualcuno dei presenti ha obiezioni, le faccia adesso oppure taccia per sempre. Introducete il contrasto onorato!”. Dopodiché, il Capo Bastone chiede all’aspirante affiliato: “Chi siete? E che cosa volete?”. Il nuovo affiliato risponde pronunciando il proprio nome e cognome. E aggiunge: “Cerco sangue e onore”. C.B.: “Sangue per chi?”. N.A.: “Per gli infami”. C.B.: “Onore per chi?”. N.A.: “Per l’Onorata Società!”. C.B.: “Siete a conoscenza delle nostre regole?”. N.A.: “Sono a conoscenza”. C.B.: “Prima della famiglia, dei genitori, delle sorelle, dei fratelli, viene l’interesse e l’onore della Società. Essa da questo momento è la vostra famiglia, e se commetterete infamità sarete punito con la morte. Come voi sarete fedele alla Società, così la Società sarà fedele a voi e vi assisterà nel bisogno. Questo giuramento può essere infranto solo con la morte: siete disposto a questo? Lo giurate?”. N.A.: “Lo giuro nel nome dell’arcangelo Gabriele e della sacra corona dell’Onorata Società. Da questo momento la mia famiglia siete voi, sarò sempre fedele e solo la morte potrà allontanarmi. Mi rimetto a voi per macchie d’onore, tragedie o infamità, a mio carico e a discarico di tutta la Società. Se farò uno sbaglio verrò punito con la morte”. Sentite e approvate queste parole”, spiega l’ex boss, “il Capo Bastone punge con un ago o un coltello l’indice destro del nuovo affiliato, facendo cadere qualche goccia di sangue sopra l’immagine di una delle sante di riferimento. Accende poi una candela posta sul tavolo, e prende il dito del nuovo affiliato tenendolo qualche secondo sopra la fiamma prima di bruciare l’immagine della santa. Infine dice: “Come il fuoco brucia questa sacra immagine, così brucerete voi qualora vi macchiate di infamità. Se prima vi conoscevo come un contrasto onorato, da ora vi riconosco come picciotto d’onore”. In quel momento il contrasto onorato è riconosciuto affiliato coi diritti e i doveri della ‘ndrangheta, per cui fa il giro degli altri affiliati seduti e dà due baci sulle guance a tutti, riservandone tre al Capo Bastone. Dopodiché, mentre sta per uscire dalla stanza, gli si avvicina il garante per comunicargli i nomi della Copiata a cui deve fare riferimento. È l’ultimo atto della cerimonia, che si conclude con le parole del Capo Bastone rivolte al Circolo Formato: “Abbiamo un nuovo uomo d’onore. La Società ha formato. Il circolo è sciolto. Buon vespero”. E l’Assemblea risponde augurandogli a sua volta buon vespero”. Donne consigliere e donne sottomesse “Molto potrei dire anche riguardo al rito di affiliazione che avviene in carcere”, racconta l’ex boss della ‘ndrangheta, “ma c’è un altro aspetto che voglio chiarire qui, ed è il ruolo delle donne nell’organizzazione, assai diverso da quello consueto nella società contemporanea. La donna”, dice, “familiare o fiancheggiatrice di un affiliato, è in ogni caso sottomessa alle decisioni della Famiglia e non può essere un’affiliata. Nel caso in cui si organizzi una riunione di ‘ndrangheta nella sua abitazione, per esempio, non può essere presente, ma svolge solo la funzione di vivandiera. Una regola ben nota alle dirette interessate, che infatti non devono mai manifestare curiosità riguardo alle discussioni o alle attività del marito, adeguandosi tacitamente a questo ruolo in ombra. Certo”, precisa l’ex boss, “con il passare degli anni le cose sono un po’ cambiate, e anche la donna di ‘ndrangheta è diventata meno remissiva nei confronti dell’uomo. Sempre più si sta affermando come confidente del proprio uomo e ne custodisce i segreti. Alcune mogli di Capi Bastone sono prodighe di consigli nelle situazioni più difficili, e la nipote del Capo Bastone di Nicastro è arrivata ad ammazzare l’uomo che l’aveva sedotta e abbandonata, vendicando così il suo onore. Un episodio di orgoglio femminile anni fa impensabile, ma che anche oggi va considerato come l’eccezione a conferma della regola”. Da La Marmora a Garibaldi “Nessuna donna”, dice l’ex boss, “può infatti acquisire informazioni sulla struttura della ‘ndrangheta, e tantomeno sapere come opera. Uno dei segreti dell’organizzazione, ad esempio, è la suddivisione in due livelli, uno Minore e uno Maggiore. Il primo raggruppa picciotti, camorristi e sgarristi, mentre il secondo è costituito da santisti, vangeli, quartini, quintini e associazione. Quest’ultimo ramo include il medaglione, che è il massimo livello della ‘ndrangheta ed è rappresentato da un medaglione in oro indossato dai vertici di turno. In origine i capi con i medaglioni erano nove, dei quali cinque con “diritto” (la possibilità di trasmetterlo a chi lo merita) e quattro con “vincolo” (nel senso che dopo la morte il medaglione torna alla Società). Il passaggio dal livello Minore a quello Maggiore”, continua l’ex boss, “è rappresentato dalla Chiave d’oro, che secondo la leggenda è sepolta in fondo al mare e può essere raccolta solo dai santisti. Durante una loro riunione, l’affiliato che deve passare da sgarrista definitivo a santista riceve questa chiave, e resta in suo possesso fino a quando la Maggiore di San Luca sancisce il passaggio finale. Ottenuto il benestare, il nuovo santista restituisce la chiave nella cosiddetta riunione dei sette santisti, dopodiché il responsabile della Santa gli recita in calabrese la formula rituale davanti a una pistola e a un fazzoletto di seta annodato: “Giusto appunto questa sera non faccio altro, nella solitudine e nel silenzio di questa santa notte illuminata dalla luce delle stelle e dallo splendore della luna, che formare questa santa corona costituita dal capo santista, il sottocapo, il maestro di giornata e la Santa distaccata. Passo alla votazione e al giuramento: giuro su quest’arma e di fronte a questi saggi compagni di Santa di rinnegare la Società, di rinnegare la Società di sgarro e qualsiasi altra organizzazione, e di far parte della Santa corona e dividere sorte e vita con questi nuovi fratelli”. A quel punto, il nuovo santista afferma di accettare le regole”. “Il tutto”, spiega l’ex boss, “ha un’evidente radice massonica e un profondo legame storico. I personaggi di riferimento dei santisti sono il generale Alfonso La Marmora come stratega di battaglia e il generale Giuseppe Garibaldi come combattente per la libertà e la giustizia. Il compito dei santisti non è di azione, ma di pensiero e organizzazione. Le loro riunioni si tengono nelle notti stellate perché loro sono le stelle, e il loro alto livello di potere s’intuisce dal modo in cui il più anziano introduce gli incontri: “Buon vespero, saggi compagni”, dice. “Siamo qui riuniti per comporre e per scomporre ciò che viene discusso, possiamo dire e fare quello che ad altri non è permesso”". “Altrettanto determinante, se non di più, è il ruolo di chi ha la dote di vangelo, creata allorché alcuni santisti misero in discussione la validità del riferimento al generale La Marmora in quanto militare”, racconta l’ex boss. “In polemica con questo richiamo, fu istituita un’altra dote per differenziarsi, che venne appunto chiamata vangelo, e di cui fanno parte personaggi definiti eccelsi della ‘ndrangheta, conoscitori dei diritti e dei doveri della Onorata Società e dotati di mansioni decisionali al massimo livello. Io stesso”, riferisce l’ex boss, “ho raggiunto questo livello, e quindi posso testimoniare che le figure religiose di riferimento sono tutti gli apostoli e i santissimi Pietro e Paolo, mentre le figure storiche sono Giuseppe Mazzini come fondatore e promotore delle società segrete in genere, e Camillo Benso conte di Cavour, somma mente di statista”.