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FEUDO OLIVA

21 dicembre 2011

Alcuni scatti dimostrerebbero il metodo utilizzato dalla ditta accusata di disastro ambientale per avere smaltito i veleni nelle acque e nei terreni della valle

di Roberto De Santo su il “Corriere della Calabria”

 

Prima dei lavori di intombamento - foto Corriere della Calabria

Valle Oliva - Esterno giorno, 15 settembre dell’anno del Signore 2010. Da poche settimane sono andati via i tecnici dell’Arpacal e dell’Ispra incaricati dalla Procura di Paola di effettuare i carotaggi nella valle dell’Oliva. Un’operazione complessa che ha impegnato per oltre tre mesi i due istituti di ricerca. In zona c’è la presenza massiccia anche delle forze dell’ordine. I tecnici sono lì per comprendere la portata dell’inquinamento dei suoli e dell’acqua della vallata. I militari per vigilare attentamente la zona. Eppure, nonostante i riflettori nell’area siano tutt’altro che spenti, c’è chi sembra rimanere indifferente. Continua in pieno giorno a lavorare nella valle. Apparentemente per compiere attività regolari: movimentazione terra. Si procede a scavare una buca. Profonda, molto profonda. E a interrare materiale. Terreno, forse. All’opera ci sono due grosse escavatrici e si intravedono almeno due camion che fanno la spola con del materiale da interrare. C’è anche una pala meccanica che deve ricoprire il tutto.

Due scatti fotografici immortalano la scena. Nulla di strano per i mezzi di una ditta che si occupa proprio di questo genere di lavoro. Nulla di nulla. Se non fosse che ci troviamo proprio all’interno della valle dell’Oliva, l’area che più di uno ha ribattezzato la “valle dei veleni” per via delle migliaia di metri cubi di materiale altamente tossico rinvenuto – almeno 90mila – nonché della presenza di cesio 137, ben 16 volte superiore ai valori della zona. E poi quei mezzi ritratti nelle foto sembrano gli stessi nella disponibilità della ditta il cui titolare è finito nei giorni scorsi agli arresti domiciliari. Per il capo della Procura di Paola, Bruno Giordano, titolare dell’inchiesta sull’Oliva, Cesare Coccimiglio, 75 anni – proprietario della ditta che potrebbe aver effettuato quei lavori – sarebbe responsabile di disastro ambientale.

Durante i lavori di intombamento - Foto Corriere Della Calabria

Le indagini portate avanti dagli inquirenti paolani avrebbero accertato che l’uomo sarebbe responsabile, in concorso con altri quattro soggetti, di un «imponente ed illecito smaltimento di rifiuti industriali» e per questo di aver determinato anche «l’avvelenamento delle acque sotterranee del bacino, destinate al consumo umano». Secondo quanto ricostruito e riportato anche nell’ordinanza con cui il gip di Paola, Giuseppe Battarino, ha deciso l’arresto dell’imprenditore amanteano, il metodo adottato dalla ditta Coccimiglio per smaltire illecitamente i rifiuti pericolosi sarebbe avvenuto proprio con operazioni come quelle ritratte in quei due scatti del settembre 2010: trasporto di materiale contaminato e interramento in profonde buche. Così anche questa operazione diviene sospetta.

Perché scavare una profonda buca e gettarci del terreno? Una domanda che diviene ancor più inquietante alla luce dello stato attuale di quei luoghi immortalati lo scorso anno. Sopra quello scavo realizzato e poi coperto con del materiale nerastro, utilizzando diversi mezzi nella disponibilità dell’azienda, al centro dell’inchiesta sull’inquinamento dell’Oliva, esiste attualmente una pesante massicciata. Una montagna di grosse pietre che copre completamente l’area oggetto dei lavori realizzati nel 2010. È un nuovo scatto a ritrarre lo stato attuale di quei luoghi. E poi c’è un altro elemento da valutare: l’area teatro dei lavori immortalati da queste fotografie è limitrofa alla sede dell’impresa Coccimiglio. Coincidenze. Forse. Ma il dubbio che qualcosa di sospetto sia stato interrato è legittimo. Soprattutto alla luce del modus operandi criminale che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato messo in atto negli anni da quella ditta. E gli esempi in questo senso sono tanti. Tutti descritti analiticamente anche nell’ordinanza del gip Battarino che la qualifica come «costante attività di rimodellamento dei terreni finalizzata all’uso

La stessa zona oggi - Foto Corriere della Calabria

dell’area come insediamento di una vasta discarica di rifiuti speciali, pericolosi, chimici e radioattivi…».

L’INFEUDAMENTO DELLA VALLE

Sono tante le operazioni di interramento di rifiuti che, secondo gli inquirenti, sarebbero iniziate almeno dagli anni 90. Un testimone, sentito dagli inquirenti, riferisce che nel 1990 in una vecchia discarica di rifiuti in località Carbonara di Aiello Calabro, l’impresa Cesare Coccimiglio avrebbe effettuato imponenti scavi con mezzi meccanici alla profondità di circa tre metri, seguiti da un immediato interramento dopo una denuncia anonima. Stessa operazione riferita da un altro teste il 21 marzo del 1992. In questa occasione verranno accertati dalle forze dell’ordine lavori abusivi di scavo e successivo livellamento di terreno a circa quaranta metri dalla sponda destra del fiume Oliva. Questo fondo è nella disponibilità di uno degli indagati dell’inchiesta che, secondo l’accusa, avrebbe permesso a Coccimiglio di interrare i veleni.

Episodi che di anno in anno portano a quanto riscontrato anche da un dirigente della Regione e dalla Guardia costiera di Vibo Valentia. La ditta nel mirino degli inquirenti è aggiudicataria di lavori di somma urgenza sul fiume Oliva, che verranno eseguiti tra il 20 marzo del 1998 e l’11 novembre dell’anno successivo. Si trattava di realizzare un canale, ripristinare il sifonamento della briglia a lato sinistro idraulico nonché dell’avambriglia del fiume Oliva. È qui che verranno trovate le più alte concentrazioni di veleni dispersi sia nei terreni che nelle acque. Si tratta di cadmio, mercurio, tallio, manganese ma anche di clorometano, diclorometano e tolunene nei terreni «al di sopra – dirà il perito della Procura, Rosanna De Rosa dell’Unical – dei limiti previsti per i siti d’uso pubblico e privato». Mentre nell’acqua a

Panoramica della zona teatro dei lavori - Foto Corriere Della Calabria

sforare quei limiti ci pensano l’arsenico, il ferro e il manganese nonché il triclorometano. In quest’area sarà riscontrata dall’Ispra anche la presenza di cesio 137 con un valore 14,4 Becquerel su chilogrammo. È la zona in cui due appassionati di pesca contrarranno tumori che condurranno alla morte, per neoplasia polmonare con metastasi epatica, uno dei due. Una vicenda già raccontata dal Corriere della Calabria. Ma la sequela di episodi raccolta dagli inquirenti prosegue: ci sono anche i lavori per la realizzazione del tratto Valle del Signore – Galleria Cozzo Manca della strada provinciale “Fondovalle fiume Oliva”, l’opera che Coccimiglio si sarebbe aggiudicata con un ribasso del 41 per cento. Sotto il rilevato stradale verranno trovati, per uno spessore di almeno un metro, altri veleni. Da quest’area, secondo gli inquirenti, proverrebbero anche le parti metalliche della nave Ro-Ro – del tipo della Jolly Rosso spiaggiatasi poco distante dall’Oliva – e alcune parti di fusti interrati poi nell’arenile di Amantea, nel corso dell’operazione di ripascimento del litorale condotta sempre dalla ditta. Quanto basta per far descrivere dal gip tutte queste attività come «infeudamento» dell’intera valle dell’Oliva da parte dell’imprenditore.

 

Sostanze pericolose rinvenute nella valle dell’oliva (Fonti: Ispra, Arpacal, consulenti tecnici Procura della Repubblica di Paola)

I RISULTATI FINALI DELL’ISPRA E LO STATO DELL’INDAGINE

 

Intanto sono finalmente arrivate in Procura le conclusioni del Piano della caratterizzazione del fiume Oliva. A distanza di “appena” 14 mesi il direttore dei lavori, Leonardo Arru, ha consegnato nella mani del procuratore Giordano i risultati delle attività d’investigazione scientifica coordinata dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).

Risultati con non poche contraddizioni. Da un verso i tecnici dell’Ispra riconoscono le contaminazioni chimiche e la presenza del cesio nell’area, dall’altra riconducono la contaminazione radioattiva a un effetto della “nuvoletta” di Chernobyl giunta nell’Oliva e alla presenza in zona di rocce “naturalmente” radioattive. Mentre la quantità massiccia di rifiuti tossici-nocivi rinvenuti nell’area – tra i 23mila e i 140mila metri cubi – sarebbero «rifiuti industriali – scrivono – riconducibili ad attività di lavorazioni di marmi e secondariamente da rifiuti connessi all’attività edilizia». Inoltre, secondo l’Ispra, altri elementi chimici «possono essere scrivibili ad un quadro di fondo»

Camion parcheggiati nella sede della ditta Coccimiglio

e al processo di invecchiamento di rifiuti solidi urbani. Dunque tutte sostanze – il cui smaltimento illecito ci sarebbe stato – ma presenti in questa zona. Eppure letante indagini scientifiche condotte fin dal 2004 in quest’area, anche da parte dell’Arpacal, ma soprattutto dai tecnici incaricati dalla Procura, avevano chiaramente indicato come questi veleni non provenissero dalla Calabria. Ad iniziare dalla massiccia presenza di idrocarburi trovati nell’Oliva – sei volte superiori alla soglia di legge (Arpacal, dicembre 2010) – e imputabili con tutta probabilità, secondo quei rapporti, agli scarti di lavorazione di raffinerie. Per questo motivo una trance di questa inchiesta è finita alla Procura di Taranto. E poi ci sono i valori enormi di contaminazione rilevati ad esempio a Foresta dove, tra i 16 e i 20 metri, i periti della Procura hanno rinvenuto – a differenza dell’Ispra – la presenza massiccia di arsenico, antimonio e nickel. E, infine, l’ultima contraddizione contenuta nella conclusione del rapporto dell’Ispra: un invito ad approfondire le indagini ma soprattutto a «predisporre idonee misure di messa in sicurezza permanente e/o bonifica e ripristino ambientale delle aree». Come dire: il pericolo c’è ma non troppo. Combinazioni. Strane storie che ricordano il finale della vicenda della Jolly Rosso, chiusa frettolosamente nonostante le tante anomalie riscontrate. «Le indagini sull’esecutore materiale dell’inquinamento – afferma il capo della Procura di Paola – possono considerarsi concluse. Ora restano da chiarire le altre responsabilità su connivenze a tutti i livelli che su questa storia si riscontrano. Inoltre valuteremo tutte le risultanze scientifiche acquisite nel corso dell’inchiesta per verificare se coloro che hanno collaborato con il nostro Ufficio lo abbiano fatto in maniera trasparente e in coerenza con le analisi oggettive provenienti dai laboratori».

La radioattività e la massaia

Leonardo ARRU, dirigente Ispra e direttore Lavori fiume Oliva

Leonardo ARRU, dirigente Ispra e direttore Lavori fiume Oliva

«Ha presente una massaia che pulisce il pavimento di una stanza? Ebbene, mettiamo che la polvere accolta da quella donna sia cesio: se analizzassimo il cumulo accantonato risulterebbe con un valore i gran lunga superiore al resto della superficie del pavimento». Usa una metafora Leonardo Arru nella foto), dirigente dell’Ispra e direttore dei lavori di carotaggio della vallata dell’Oliva, per piegare il picco di contaminazione radioattiva riscontrato in zona. Ricordiamo, ad esempio, che in località Valle Petrone di Aiello Calabro il radioisotopo artificiale è pari a 132 Bq/kg (Bequerel per chilogrammo di terreno). Ben sedici volte superiore al fondo naturale. «Quel dato elevato – sottolinea – lo abbiamo riscontrato nei pressi di un comignolo di un fabbricato. Per cui potrebbe essere frutto del deposito delle ceneri della legna bruciata all’interno della struttura». Ma la legna che proverrebbe da questa zona sarebbe perciò radioattiva? «Sì – ribatte Arru –, ma riteniamo che la radioattività sia frutto dell’incidente di Chernobyl che ha provocato una contaminazione in tutta l’Italia». Peccato che i picchi registrati nell’Oliva siano più di uno e siano stati localizzati anche fino a cinque metri di profondità. «Casualità – bolla il dirigente – semplice casualità».

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