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Coreca: prima abbiamo cementificato e ora proteggiamo con i massi

6 gennaio 2011
Una vergogna dipinta con i “pennelli”

«La vicenda di Coreca è sintomatica della scarsa attenzione che abbiamo per il nostro territorio e che ha permesso nel corso degli anni di infarcirlo dei veleni più impensati e di sfregiarlo nella maniera peggiore»

di Massimo Clausi

Coreca vista da Sud

Amantea, 05 gen. 2011 - In Questi ultimi giorni sui social network, sui telefonini, sui siti Internet impazza il video della canzone “Qualunquemente (Onda Calabra)”, rilettura alla maniera di Cetto La Qualunque del brano “Onda Calabra” di Peppe Voltarelli e del Parto Delle Nuvole Pesanti.

La canzone farà parte della colonna sonora del film, “Qualunquemente” appunto, di imminente uscita nelle sale.
Un brano della canzone recita così “C’è uno scoglio/ che si è trasformato/in pilastro di cemento armato”. Cetto La Qualunque è
una parodia di un politico medio calabrese. Parodia estremizzata, dirà qualcuno. Ma spesso la realtà supera la fantasia.
È impossibile negare che negli anni del boom economico, quando tutti i calabresi inseguivano il sogno della seconda casa al mare, delle nostre coste è stato fatto scempio. A distanza di anni il mare si è preso la sua rivincita e ha voluto indietro pezzi di litorale, ha risucchiato lungomari costruiti sul bagnasciuga, sventrato case erette sulla spiaggia. Da qui è venuto il secondo colpo mortale inflitto all’ecosistema delle nostre coste: il diffondersi dei cosiddetti pennelli (terribili cordoni di massi in cemento) realizzati magari dalle stesse ditte che negli anni passati avevano provveduto ai prelievi abusivi di sabbia e ghiaia lungo i fiumi. Roba del passato, si dirà. Non proprio. Coreca è una frazione situata 3 km a Sud da Amantea, centro del Tirreno cosentino. Qui si può ammirare uno dei tratti più belli della costa. La scogliera è composta da un grande scoglio ormai fuori dall’acqua, chiamato scoglio di Coreca, moltissimi altri scogli sommersi ed altri che affiorano dalle acque. Il tratto in questione è rilevante non solo dal punto di vista paesaggistico, ma anche ambientale. La limpidezza dell’acqua permette di ammirare anche gli scogli sommersi che costituiscono habitat naturale per molte specie di pesci. Coreca, però, ha un problema.
Daquindici anniaquesta parte la spiaggia prospiciente il grande scoglio si sta ritirando sempre di più. Il Comune allora ha deciso di stanziare un bel po’ di quattrini per il “potenziamento”(così si legge nella delibera) della spiaggia, accendendo un mutuo di 200.000 euro (costo totale previsto per l’investimento è di quasi 500.000). La cosa incredibile di questa delibera
non è tanto che il Comune ha pensato di tutelare la zona con i famigerati pennelli (nella delibera si parla di massi da 3-7 tonnellate) quanto si è scoperto che l’ente ha potuto decidere in tempi record e senza consultare nessuno.
Tutto ciò è stato possibile perché secondo la Regione Calabria, la zona non rientra nelle “aree protette” o nei “siti della Natura
2000”, il che ha consentito alla Regione stessa di approvare l’intervento con lavori proprio a contatto dello scoglio,
escludendo la procedura di Via (valutazione d’impatto ambientale). Il fatto ha fatto ovviamente insorgere gli ambientalisti,
Wwf in testa. Dovrebbe però far riflettere tutti. Non vogliamo passare come i De Santis della situazione (l’avversario politico che Cetto La Qualunque invita cordialmente a farsi gli affari propri), ma viene spontaneo chiedersi come mai non sia protetta
una delle zone più suggestive del Tirreno cosentino. Se non è rientrata questa, chissà quanti altri splendidi scorci delle coste calabrese sono alla mercè di chiunque può, con una semplice domandina al Comune, edificare dove meglio ritiene opportuno. E per fortuna (?) qui stiamo parlando di un intervento pubblico. Insomma la vicenda di Coreca è sintomatica della scarsa attenzione che abbiamo per il nostro territorio e che ha permesso nel corso degli anni di infarcirlo dei veleni più impensati e di sfregiarlo nella maniera peggiore. Tempo fa, parlando con un collega di una testata nazionale dello sviluppo della Calabria questi mi disse «voi calabresi siete matti. Macchè siderurgia, ma quale tessile, ma quale informatica. Voi calabresi dovevate solo creare infrastrutture, sedervi e contare i soldi». Le infrastrutture ancora le aspettiamo, quello che ci ha dato Dio, invece, ce lo stiamo giocando ai dadi.

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